(a cura di Valerio Ferlizzi)

Non c’è prova migliore del progresso di una civiltà che il progresso della cooperazione”
John Stuart Mill

Come è ormai noto, il concetto di sicurezza è sempre stato uno dei protagonisti nella vita dei cittadini, basti pensare all’attuale situazione pandemica, la quale rendendo i cittadini insicuri a causa di un nemico invisibile, ha condizionato ampiamente le scelte a breve e medio termine.

Un tema che, per la sua valenza, merita un grande rispetto, stante la sua ampiezza e complessità al punto da essere stata inserita tra le discipline di studio ed insegnamento del mondo accademico.

Al contrario, nonostante la mia seppur breve esperienza professionale, dobbiamo ammettere che spesso se ne sente parlare senza cognizione di causa, da persone che non hanno alcun titolo e professionalità per farlo e quindi mal presentata, quasi sempre con toni allarmistici, vista in buona sostanza come un ostacolo.

Dunque, si tratta di un’attività servente, nel senso di essere finalizzata al raggiungimento di un nobile obiettivo sociale, ovvero quello di mettere in condizione la collettività di poter vivere, nonostante tutto, senza eccessive preoccupazioni.

Tale materia viene oggi affrontata da molteplici “attori” che possono essere suddivisi in due macro sistemi, quello pubblico, composto dalle Forze dell’Ordine, e quello privato con aziende ben strutturate, formate da professionisti in possesso di un know how di altro profilo, inserite in un mercato sempre più competitivo.

Volendoli analizzare appare evidente come negli ultimi decenni, le Forze di Polizia italiane abbiano subito profonde trasformazioni, grazie ad un processo di modernizzazione che ha avuto origine con la legge n.121 del 1981.

Qui il legislatore, oltre ad aver ridisegnato e rafforzato le funzioni ed il ruolo delle autorità centrali e periferiche di Pubblica Sicurezza, in una logica di sicurezza partecipata, ha fissato ulteriori tre obiettivi: unità, efficienza e democraticità, elementi tutti fondamentali per una migliore tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica che non può prescindere da una sempre maggiore integrazione delle Forze di Polizia nel tessuto sociale.

Tale normativa attribuisce alla figura del Ministro dell’Interno (art. 1) il ruolo di Autorità Nazionale di Pubblica Sicurezza, nonché responsabile della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, il quale coordina i compiti e le attività delle Forze di Polizia, espletando i propri compiti avvalendosi dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza e quindi in sintesi del Dipartimento della Pubblica Sicurezza e delle autorità provinciali di PS, oltre che chiaramente degli organici della Polizia di Stato.

Si avvale del Comitato Nazionale dell’ordine e della sicurezza pubblica, organo di consulenza per l’esercizio delle sue attribuzioni composto da:

  • un Sottosegretario designato dal Ministro, con funzioni di vice presidente;
  • dal Capo della Polizia direttore generale della pubblica sicurezza, il quale ha la responsabilità circa il coordinamento tecnico-operativo delle Forze dell’Ordine, oltre che all’attuazione della politica dell’ordine e della sicurezza pubblica;
  • dal Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri;
  • dal Comandante Generale del Corpo della Guardia di Finanza;
  • dal Direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

A livello territoriale, tali funzioni sono invece attribuite al Prefetto e al Questore (artt. 13 e 14) delle varie province italiane.

Il Prefetto, in qualità di autorità politico-amministrativa, sovrintende all’attuazione delle direttive emanate in materia, assicurando unità di indirizzo e coordinamento dei compiti e delle attività degli ufficiali e degli agenti di pubblica sicurezza.

Presiede inoltre il Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica composto dal Questore, dal Sindaco del comune capoluogo di provincia, dal Presidente della Provincia, dai Comandanti Provinciali dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e dai Sindaci degli altri comuni interessati, quando devono trattarsi questioni riferibili ai rispettivi ambiti territoriali.

Il Questore, in qualità di autorità tecnico-operativa, si avvale del c.d. “Tavolo tecnico” cui partecipano i rappresentanti delle Forze dell’Ordine per lo scambio di informazioni e di strategie da condividere a garanzia dell’ordinato svolgimento di particolari eventi di natura sportiva, religiosa o politico-sindacale.

Emana, ai sensi dell’art. 37 del D.P.R. n. 782/1985, apposita “ordinanza di servizio”, con cui vengono stabilite le modalità di svolgimento dei servizi, le aliquote di personale da impiegare, l’equipaggiamento necessario, i responsabili del servizio e le finalità da conseguire.

Nonostante si possa quindi affermare che notevole sia stato il progresso nel campo della sicurezza nel settore pubblico, ampi spazi sono oggi nella disponibilità del settore cosiddetto “privato”, nei confronti del quale anche l’Unione Europea ha dimostrato ormai da anni un particolare interesse.

Infatti solo negli ultimi anni possiamo iniziare a parlare realmente di “sicurezza complementare”, ovvero un’attività analoga a quella già svolta dalle Forze dell’Ordine, espletata in luoghi pubblici di particolare interesse, oppure presso infrastrutture considerate “obiettivi sensibili”, concetto che sarà poi ribadito e puntualizzato dal Decreto ministeriale del 1° dicembre 2010, n. 269 o più

Appare quindi evidente come il professionista della sicurezza deve necessariamente inserirsi esattamente al centro di questi due ambiti, operando a tutela dell’organizzazione, coinvolgendo e, laddove possibile, collaborando con le Forze dell’Ordine.

Volendo analizzare, seppur rapidamente, il profilo professionale del Security Manager, appare evidente, che deve necessariamente possedere delle conoscenze, abilità e competenze, quali ottima padronanza del business, delle tecniche per garantire la sicurezza fisica, quella logica, senza dimenticare l’ampia materia relativa alla privacy, nonché avere conoscenze giuridico-legali e di criminologia con riferimento specifico ai crimini informatici e alla tutela delle informazioni, nozioni sul rischio e sulla protezione aziendale, sulla tutela di marchi e brevetti.

Per meglio comprendere l’evoluzione del ruolo del Security Manager, bisogna far riferimento a quanto già previsto dalla normativa italiana UNI 10459, mediante la quale il legislatore ha inteso qualificare le sopracitate competenze, in relazione a tutte quelle attività finalizzate alla protezione aziendale.

Tale norma, è stata di recente aggiornata e con la nuova edizione si è voluto renderla più coerente con il significato internazionale attribuito alla professione vista nella sua complessità, che si identifica con i termini di safetysecurity ed emergency:

  • safety che si occupa di tutto ciò che interessa l’incolumità fisica e psichica delle persone, inclusi eventuali danni morali e materiali che gli individui potrebbero subire in ambito aziendale o connesse alle attività che il soggetto svolge;
  • security ovvero lo studio e la gestione della sicurezza per la realizzazione di misure di prevenzione e tutela; tali misure possono essere materiali e infrastrutturali, finalizzate a far conoscere il rischio e quindi ad evitare il pericolo;
  • emergency con la quale si fa riferimento a tutte quelle attività messe in atto per gestire e contenere situazioni impreviste e pericolose per l’incolumità delle persone e per la sicurezza delle strutture.

In particolare, secondo i nuovi criteri, il Professionista della security dovrà essere in grado di :

  • analizzare e valutare i rischi, ovvero prevenire tutti quei potenziali effetti negativi, causati da un evento inaspettato;
  • tutelare le persone e le risorse sia materiali sia immateriali dell’organizzazione;
  • sviluppare le strategie di security in linea con le politiche stabilite dal vertice dell’organizzazione garantendo la loro messa in atto;
  • creare e mantenere una proficua collaborazione con le Forze dell’Ordine territoriali;
  • predisporre, attuare e controllare i piani e le politiche di security condivise con i responsabili dell’organizzazione;
  • assicurare la continuità delle attività dell’organizzazione anche in situazioni straordinarie o di crisi.

Quindi un leader, in grado di presidiare rischi e minacce, al quale competono delle responsabilità quando si parla di organizzazione e gestione, avendo sempre ben chiaro che, il primo rischio è riconducibile proprio a se stesso, se viene meno a queste ultime specifiche professionali.

In conclusione, possiamo affermare che da un modello di security settoriale, basato sul patrimonio tangibile/fisico e sulla sicurezza perimetrale fisica e logica, si è passati così a un modello di security globale, che tiene conto di tutti quei rischi che possono incidere negativamente sugli interessi dell’azienda e sulla continuità del business, per approdare ad un modello definibile come “Total Risk Governance”.

Non sfugge infatti che si va sempre più verso un sistema di sicurezza unitario ed integrato, coinvolgendo sempre più, oltre i già citati attori, anche il cittadino, soprattutto quando si parla di Sicurezza Urbana, potendo dar vita ad un virtuoso processo sinergico tra pubblico e privato che ha permesso di recuperare ingenti aliquote di personale delle FF.OO. da impiegare in altri servizi primari, facendo vantare al nostro Paese, uno dei tassi più bassi di criminalità rispetto allo scenario europeo.

Tutto ciò fa comprendere che tutelare un’azienda, salvaguardando le proprie risorse infrastrutturali economiche ed umane, significa contribuire a sviluppare sempre più la rete di tutela del “Sistema Paese”, in una logica di Sicurezza Partecipata, ponendo il Security Manager al centro tra aziende e Forze dell’Ordine.


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